Paragrafi sull’armonia

Zaffarano_ArmoniaQueste pagine di scrittura ragionante, apparentemente geometrica, sembrano orientate a costruire, tassello dopo tassello, un qualche strano teorema per paragrafi su un’armonia (sociale? economica? …musicale?) di cui non viene dato in verità un profilo stagliato. È indecidibile, imprecisabile. E, poiché non c’è forse nulla di meno decidibile e precisabile del linguaggio, della parola, si dovrà attribuire il ruolo di protagonista proprio a questa disarmonica entità, nominata in ogni passo del testo.
Piú che a pagine assertive, tuttavia, ci troviamo di fronte a una sorta di vera e propria erosione o eliminazione del positivo di quella che parrebbe essere metascrittura. La parola cioè, continuamente chiamata in scena, continuamente prende distanza da sé, è umbratile, «ammette incongruenze», scarta necessariamente verso «la forma del tempo sociale» (ammesso che si possa poi «sapere / cos’è il sociale»), trama differenze e ne è tramata, funge da pietra d’inciampo anche politica: «qual è il compito della parola / induce include perturba il processo di scambio»; «la parola infetta gli altri rapporti / diventa immediatamente / una forma sociale / di pensiero».
Dunque: parole parlano di parole, nel contesto del sistema di segni che, da parlanti, ci sembra di aver capitalizzato, possedere, trattenere in/come vocabolario, planetario noto. È invece l’accumulo, il linguaggio, ad aver capitalizzato noi, è lui ad eccederci. Questa è allora l’idea di cui il libro sembra essere un trattato. Allo stesso tempo, è evidente e sanamente esposto che non ci troviamo nel campo di una effettiva matematica o geometria. Ce lo dimostrano sia le stesse impronte ambiguamente dimostrative, teorematiche, dell’opera, sia la sua ironia strutturante, sia il continuo rovesciamento del senso comune a cui il testo ci fa assistere, su cui riflette: «i prodotti pensano le parole / le parole pensate sono la forma finale dell’universo materiale / rivelano la forma semplice / di isola / le leggi pensano di non essere soltanto parole».
(Marco Giovenale)

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