Posts Tagged ‘Storia della grafica’

Tipografia espressiva: Lubalin

sabato, gennaio 18th, 2020

Fabrizio M. Rossi [text]
Lubalin: riferimenti nella Rete

The Herb Lubalin Study Center of Design and Typography (sito della Cooper Union School of Art)
http://flatfile.lubalincenter.com/ (sito realizzato da Herb Lubalin Study Center)
Herb Lubalin in Wikipedia (inglese)
Tribute to Herb Lubalin (galleria d’immagini)
Herb Lubalin, Art Directors Club Hall of Fame 1977 (biografia in inglese e immagini)
An interview with Herb Lubalin
Individualism squelchers, di Herb Lubalin
Herb Lubalin, AIGA
The CBS wall
ITC finds new elegance, U&lc volume nine

Bibliografia

Herb Lubalin, a cura di Lambert M. Surhone, Mariam T. Tennoe e Susan F. Henssonow, ed. VDM (inglese)
Herb Lubalin: Art Director, Graphic Designer and Typographer, a cura di Gertrude Goodrich Snyder e Alan Peckolick, Artshow/Rizzoli international (inglese)

Nuovi caratteri, nuova “Repubblica”?

sabato, aprile 12th, 2014

Giovedì 27 marzo 2014 il quotidiano “la Repubblica”, nella sua versione su carta, si presenta in edicola con una “copertina” dal titolo: «È un nuovo inizio» [foto 1]. All’interno della copertina troviamo un’interessante raccolta di prime pagine storiche del quotidiano – dalla sua fondazione nel 1976 ai nostri giorni – accompagnata da una nota di Ezio Mauro. Il direttore illustra i motivi che hanno spinto il quotidiano a elaborare una nuova veste grafica, affidandola all’art director Angelo Rinaldi. Alla base di questo cambiamento vi è la presa d’atto di una necessaria differenziazione dei contenuti destinati alla stampa – notizie “consolidate” e approfondimenti – dai contenuti caratteristici della rete, in continuo aggiornamento e perlopiù di libera disponibilità. Presa d’atto giusta, benché – a mio avviso – vagamente tardiva; ma, com’è noto, Roma non è stata fatta in un giorno, e un progetto grafico per un importante quotidiano non è cosa da poco: Mauro stesso ci informa che “la Repubblica” è il primo in Italia per diffusione, in entrambe le sue versioni.

Non mi soffermerò sul progetto grafico generale, limitandomi a rilevare una diffusa (e lussuosa) presenza di spazi bianchi – di “aria che circola” fra i testi e le immagini – che ben si addice alle intenzioni dichiarate di creare uno spazio di riflessione, di approfondimento e non di affollamento [foto 2].

Vorrei invece esaminare le scelte tipografiche di questo ridisegno, che già hanno suscitato “rumori e malumori” fra chi si occupa di queste vicende.

Il punto più critico è il carattere scelto per i titoli [foto 3]: il Cheltenham, nella versione della fonderia ITC (Tony Stan, 1978). È uno dei molti ridisegni dello storico carattere realizzato da Bertram Grosvenor Goodhue (1869-1924), architetto e tipografo influenzato dai caratteri della Kelmscott Press disegnati da Edward Burne-Jones. Goodhue lo progetta verso il 1896 per l’editoria (Cheltenham Press di New York), tuttavia il Cheltenham ottiene la sua maggior diffusione (almeno fino agli anni Trenta del Novecento) nei lavori commerciali. Il suo successo “di pubblico” non coinciderà però, sin dall’inizio, con un successo “di critica”. Verrà commercializzato prima dall’ATF nel 1902/1903, poi dalla Linotype e successivamente in almeno due dozzine di varianti. Viene considerato uno dei caratteri “americani per eccellenza”, chiamato in gergo d’oltreoceano Chelt (essendo Cheltenham, evidentemente, troppo lungo e troppo british).

Al di là dei dati storici – peraltro interessanti per comprendere la scelta (penserei a un omaggio al giornalismo americano) – vediamo in breve gli aspetti formali dell’ITC Cheltenham che sono essenziali per comprenderne la criticità in questo progetto.

È un carattere “nuovo transizionale” (usando i criteri classificatori di Blackwell) che presenta un occhio medio alto e tratti ascendenti più lunghi dei discendenti. Le sue controforme sono, dunque, manifestamente ampie.

Ora, è nozione diffusa e condivisa che lo spazio interno di un carattere determini lo spazio esterno a esso (si veda al riguardo quel che dice Mike Parker nel film Helvetica, solo per fare un esempio e rendere omaggio al tipografo scomparso il 23 febbraio scorso). Notiamo invece nei titoli (e sottotitoli) della nuova “Repubblica” un uso intenso e diffuso dell’avvicinamento fra i caratteri (tracking e kerning negativi), spesso a dispetto dello spazio disponibile. L’effetto è quello di “n’ammucchiata”, come ha avuto a dire una studentessa romana. Qui sí che c’è affollamento.

Delle due l’una: o sono sbagliati gli avvicinamenti rispetto al carattere, o è sbagliato il carattere rispetto al progetto.
Ma direi entrambe le cose, visto che l’esigenza di spazio sulla pagina mi sembra vitale per il progetto.

Sarebbe fondamentale conoscere i motivi delle scelte tipografiche di Rinaldi, tenendo conto del fatto che un progetto di comunicazione visiva (molto semplice o molto complesso, come in questo caso) è sempre frutto dell’incontro/scontro/mediazione fra le parti: fatto di non poco conto, a cui si aggiungono eventuali travisamenti o forzature nell’applicazione “sul campo”.

Aggiungiamo la presenza di un carattere “egiziano” [foto 4] nel corpo degli articoli (sembra che sia un Egyptian 505, ma la stampa lo deforma), anch’esso con occhio medio ampio e anch’esso sottoposto spesso ad avvicinamenti forzati, oltre che a corpi miseri, nemici dei presbiti (giovanilismo?). Per finire, balza agli occhi un “neogrottesco” nelle didascalie delle foto, sovente in corpo maggiore rispetto a quello degli articoli.

Insomma: francamente, sul lato della tipografia, un’occasione mancata, per il quotidiano italiano più diffuso. Perché non investire (e sottolineo: investire) in una serie di caratteri appositamente disegnati? Mancanza di sensibilità tipografica, forse?

A beneficio degli studenti italiani di tipografia – che sudano sette camicie per apprendere una disciplina dura e spietata e partecipano con impegno al suo rinascimento nella terra dei cachi – c’è da dire che non esiste soltanto il caso del gruppo francese “Le Monde” che, nel 1994, fu spinto a commissionare a Jean-François Porchez la ben nota serie di caratteri che porta il nome del quotidiano transalpino. Ebbene, udite udite: anche in Italia si son fatte operazioni simili, parlando solo del passato più recente: penso ai caratteri disegnati per il “Sole 24 ore” (Sole serif, Luciano Perondi, 2010), per il “Corriere della sera” (Solferino e Brera, Luciano Perondi e LeftLoft/Andrea Braccaloni, 2007) o per “L’Espresso” (GFT Lespresso Sans Bold e Regular, Gio’ Fuga, 2007). Certo, sarebbe anche interessante vedere quale uso, nel tempo, è stato fatto dai committenti di tali caratteri (non escluso il caso di “Le Monde”), ma questa è un’altra storia.

Quindi, non demoralizziamoci: confidiamo in nuove splendide occasioni per i progettisti italiani di caratteri.
E, soprattutto, non sarà il caso della “Repubblica” a farci emigrare, vero?
Fabrizio M. Rossi

Foto_01: il titolo della “copertina”.

Foto_02: lo spazio sulla pagina.

Foto_03: titolo e sottotitolo.

Foto_04: il corpo del testo.

Tipografia espressiva: Ahn Sang-Soo

domenica, marzo 23rd, 2014

«La figura del coreano Sang-Soo si staglia sia per la qualità del suo lavoro, sia per il modo che gli è proprio di porsi nei confronti dell’altro, sia ancora per la sua capacità di comunicare le proprie idee e le proprie invenzioni grafiche e tipografiche». Cosí scrivevo in un mio reportage sui Rencontres Internationales de Lure [in “Progetto grafico” n. 7, ripubblicato in Diario tipografico. Incontri, caratteri, libri, IkonaLíber, 2013]. In quell’occasione avevo avuto la fortuna di incontrare e intervistare molte personalità importanti della tipografia e della comunicazione visiva, tra cui Ahn Sang-Soo, che presentava il suo lavoro tipografico sul sistema coreano di scrittura alfabetica. Allora come ora ama farsi fotografare con una mano sull’occhio, e cosí chiede di poter fotografare gli altri, in una posa che certamente contribuisce a distendere l’atmosfera e a creare un clima ironico e surreale. Ora come allora riprendo alcuni versi citati a Lure dal maestro coreano:
«Once upon a time/words were stars/When they took meaning/they falled to the earth»
(Un tempo le parole erano stelle. Quando acquistarono significato, caddero sulla terra)

da http://creativeroots.org/2010/03/ahn-sang-soo/

Da http://creativeroots.org/2010/03/ahn-sang-soo/

Da http://creativeroots.org/2010/03/ahn-sang-soo/

Da http://creativeroots.org/2010/03/ahn-sang-soo/

Da http://creativeroots.org/2010/03/ahn-sang-soo/

Da http://creativeroots.org/2010/03/ahn-sang-soo/

Tipografia espressiva: Barbara Kruger

mercoledì, febbraio 19th, 2014

«Barbara Kruger è nata a Newark, nel New Jersey, nel 1945. Dopo aver frequentato la Syracuse University, la School of Visual Arts e aver studiato con Diane Arbus alla Parson’s School of Design di New York, ottiene un incarico di lavoro alla Condé Nast Publications. Lavorando per la rivista “Mademoiselle” viene presto promossa capo designer. Successivamente lavora come graphic designer, art director e editor d’immagini nei dipartimenti d’arte di “House and Gardens”, “Aperture” e altre riviste.

Questa somma di esperienze è evidente nel lavoro per il quale Barbara Kruger è ora internazionalmente nota. Nelle sue opere si sovrappongono testi concisi, potentemente espressivi e aggressivi a fotografie che coinvolgono il lettore nella lotta per il potere e il controllo di cui parlano le didascalie. Nel loro inconfondibile aspetto – lettere nere su contrastante sfondo rosso – i suoi slogan divengono immediatamente riconoscibili: «Compro dunque sono», «Il tuo corpo è un campo di battaglia». Molti dei suoi testi pongono interrogativi su femminismo, consumismo, autodefinizione e desiderio, mentre le immagini – in bianco e nero – sono estratte da riviste ampiamente diffuse che “vendono” le stesse idee che Kruger contesta.

Il suo lavoro è presente in musei e gallerie di tutto il mondo, così come è apparso su cartelloni stradali, manifesti e in parchi pubblici o stazioni ferroviarie, come a Strasburgo, in Francia, ed è stato richiesto da altre amministrazioni pubbliche.

Ha insegnato al California Institute of Art, alla School of the Art Institute of Chicago e alla University of California, Berkeley.
Vive a New York e a Los Angeles.»

Dal sito di Barbara Kruger.
Lavori di Barbara Kruger.
Installazione «Belief+Doubt».
Barbara Kruger: In conversation with Iwona Blazwick, from Modern Art Oxford: this is tomorrow

Tipografia espressiva: Massin

mercoledì, febbraio 6th, 2013

Fabrizio M. Rossi [text]

Massin: scheda biografica (pdf scaricabile, 33 kb)

Massin: riferimenti nella Rete

Language unleashed
Massin, the Unclassifiable Free Thinker

Robert Massin in Wikipedia
La cantatrice chauve in Wikipedia
Massin in Continuo: a Dictionary (intervista di L. Wolf)
La cantatrice chauve, immagini
La cantatrice chauve, testo francese
La cantante calva, testo italiano

Bibliografia

Massin, di L. Wolf, ed. Phaidon (inglese)
Massin
, con una prefazione di P. Apeloig, Pyramid éditions (francese/inglese)

Aiap: il mestiere di grafico in Italia

lunedì, giugno 7th, 2010

Conferenza tenuta da Fabrizio M. Rossi ai Rencontres Internationales de Lure, 25-30 agosto 2008, sul tema “Vendu. Le contrat graphique” (Venduto. Il contratto grafico).



Rencontres Internationales de Lure, 25 – 30 agosto 2008
Al di là delle Alpi. Aiap: il ‘mestiere di grafico’ in Italia.
Conferenza di Fabrizio M. Rossi, consigliere nazionale AIAP

[1] /// “Straniero, non è mio costume trattar male gli ospiti… Tutti da parte di Zeus vengono gli ospiti e i poveri”.
Molto tempo fa, in giro per il Mediterraneo, si raccontava la storia di un uomo che, alzata la vela alla navicella del suo ingegno, molto aveva viaggiato per nostalgia.
Tornato finalmente in patria dopo vent’anni (non esistendo evidentemente all’epoca i navigatori satellitari) si sentiva rivolgere queste parole da un servitore che, pur non avendolo riconosciuto, lo accoglieva come un ospite sacro agli dèi.
Va da sé che io non mi paragoni in nulla a quell’uomo (salvo per il fatto che neanch’io usi il navigatore satellitare); ho voluto piuttosto rendere omaggio a questa visione arcaica che tematizza il viaggio, lo straniero, l’ospitalità, l’incontro.
Immagino cosí il mio intervento qui a Lure come un piccolo racconto offerto da un viaggiatore straniero ai propri ospiti, confidando nella loro benevolenza; poiché certamente non vorrete fare un torto agli dèi…
A dispetto delle formidabili spinte all’omologazione planetaria, mi ostino a credere nel potere del viaggio e dei linguaggi differenti, nella singolarità dei luoghi, nella necessaria arte dell’incontro fra le diversità.

[2] Credo ancora che, alla base dell’idea di valore – argomento centrale dei Rencontres di quest’anno – vi sia esattamente la differenza: senza di essa non vi è alcun valore. L’occasione – o, meglio, il pre-testo – per parlarvi del valore del ‘mestiere di grafico’ in Italia è raccontarvi dell’Aiap.

[3] /// Eccolo, il marchio dell’Aiap, a cui siamo particolarmente affezionati: una “A” in forma di matita che interpreto come un omaggio alla manualità del progetto.

[4] C’è chi vuol vedervi anche un certo richiamo ad uno spirito un po’ anarchico e molto pacifista che, a dire il vero, non ci è del tutto estraneo…
Raccontare dell’Aiap vuol dire, come vedremo, percorrere una buona parte della storia della grafica italiana del secondo dopoguerra, parallelamente alla storia della società, dell’economia, della cultura.

[5] /// Un’ultima annotazione preliminare: sin dal titolo del mio intervento ho usato l’espressione ‘mestiere di grafico’.
Ciò si spiega da un lato con la mia personale avversione nei confronti del termine abusato e pretenzioso di ‘professione’ in tutte le sue declinazioni e al mio preferire ad esso l’idea di ‘mestiere’, che evoca qualcosa del ‘mistero’ dell’artigianato e della cultura del gesto.

[6] Dall’altro, il mio vuol essere un omaggio ad un celebre libro, pubblicato postumo nel 1978, che raccoglie alcuni scritti importanti di Albe Steiner, una delle figure eminenti della grafica italiana del secondo dopoguerra e uno tra i fondatori della nostra associazione.

[7] /// L’Aiap, dunque, viene fondata nel 1945 ed è interessante seguire con attenzione le varie denominazioni che essa assumerà via via.
Esse riflettono infatti la percezione che i grafici hanno avuto di loro stessi e del proprio mestiere nel corso del tempo, o almeno la percezione dominante che si è affermata.


/// Ma andiamo per gradi: all’atto della sua fondazione, cioè a dire al termine della Seconda guerra mondiale e della guerra di Liberazione del Paese, l’associazione riunisce in sé i cosiddetti ‘tecnici’ e gli ‘artisti’ pubblicitari.
Dieci anni dopo, nel 1955, diverrà ‘Associazione Italiana Artisti Pubblicitari’, assumendo l’acronimo di Aiap che rimarrà invariato sino ad oggi.
Sebbene si osservi una distinzione tra ‘artisti’ e ‘tecnici’, è evidente che il termine ‘pubblicità’ sia dominante in quegli anni.
Ed è questo un termine che, sin da ora, suggerisco di sostituire con quello di ‘comunicazione persuasiva’, a mio avviso piú ricco di nitidezza e di motivi di riflessione.
Ad esempio, è tristemente noto che oggi la comunicazione politica in Italia sia stata fatta rientrare, nel suo complesso, nella comunicazione persuasiva, assumendone i linguaggi e i meccanismi.
È chiaro dunque che, in quegli anni, il dibattito nascente in Italia intorno al nostro mestiere non avesse ancora tematizzato in modo radicale la distinzione tra progetto grafico e comunicazione persuasiva, men che meno l’àmbito piú generale della comunicazione visiva a cui si approderà molti anni dopo.
Convivevano inoltre all’interno dell’Aiap figure ed approcci al mestiere di grafico sia di provenienza piú artistica sia di orientamento piú progettuale.
Pur nella parziale indeterminazione di quella che chiamerei ‘l’età dei pionieri’, l’Aiap era allora animata dalla presenza di grandi personalità appartenenti dunque ad àmbiti diversi: dai cartellonisti ai progettisti grafici piú propriamente intesi, fino a figure specializzate come i progettisti di caratteri tipografici.

[8] Incontriamo cosí, solo per citarne alcuni tra i piú celebri, Dradi, Boggeri, Testa, Grignani, Fronzoni, Novarese, lo stesso Steiner.
Siamo negli anni della ricostruzione post-bellica, a cui seguirà il cosiddetto ‘miracolo economico italiano’ che trasformerà profondamente il volto della nazione, da rurale a industriale, da autarchica a ‘consumista’.
Per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, fino a buona parte dei Settanta, il polo economico dominante è situato al Nord del Paese. Città come Torino, Ivrea, Bologna, Milano, sono infatti al centro dell’attività produttiva.
In particolare proprio Milano, da sempre sede dell’Aiap, assumerà il ruolo di guida nell’orientare la riflessione teorica sul fare grafica.
Di conseguenza sarà la cultura funzionalista milanese ad influenzare in modo dominante il mestiere di grafico in Italia, almeno fino agli ‘anni di piombo’.


/// È proprio nel 1980 che l’Aiap percepisce la necessità di un primo, grande cambiamento. Molte sono infatti le trasformazioni sopraggiunte sia nel campo della comunicazione persuasiva sia in quello del progetto grafico.
Si ipotizza dunque l’esistenza di un àmbito generale in cui opera ormai il progettista grafico, àmbito che verrà definito come quello della ‘comunicazione visiva’.
Ecco che a tale riflessione consegue il cambiamento di denominazione dell’associazione che, pur mantenendo la sigla Aiap, diviene ‘Associazione Italiana Creativi della Comunicazione Visiva’.
Anche quel termine, ‘creativi’ (termine a mio avviso fuorviante rispetto alla cultura del progetto grafico), da un punto di vista fenomenologico risulta conseguente al clima postmodernista di cui saranno portatori gli anni Ottanta.


/// Un altro elemento importante, che si svilupperà a partire da quel decennio, sarà la diffusione su tutto il territorio nazionale degli associati all’Aiap.
Tale diffusione sarà dovuta essenzialmente alle mutate condizioni economiche dell’Italia, con la creazione di poli industriali al di fuori della tradizionale area settentrionale e con lo sviluppo generalizzato sul territorio del cosiddetto settore terziario o dei servizi.
La presenza nell’Aiap di progettisti operanti non piú soltanto nelle aree urbane del Nord ma nell’Italia ‘delle mille città’ porterà da allora un contributo fondamentale e multiforme alla vita dell’Associazione, svincolandola dalla cultura funzionalista milanese.

[9] /// Nel 1989, nel corso dell’assemblea nazionale di Aosta, viene redatta la Carta del progetto grafico, inaugurando simbolicamente l’epoca del dibattito piú acceso.
Autore della Carta è un comitato di cui fanno parte alcune delle realtà piú rappresentative del mondo della grafica in Italia.
Oltre all’Aiap vi sono, infatti, l’Adi (Associazione Design Industriale), il mondo dell’Università (rappresentato dalla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano), le riviste “Grafica” (promossa dall’Aiap) e “Linea grafica”.
La Carta poneva la grafica al centro della cultura del progetto cosí come, a loro volta, lo erano stati l’architettura negli anni Trenta e il design industriale negli anni Sessanta.
Tale nuova centralità del progetto grafico era dovuta all’identificazione tra quest’ultimo e la comunicazione visiva, secondo l’assunto ‘dove c’è comunicazione visiva c’è grafica’.
Si constatava cosí la parte cruciale rivestita dai sistemi della comunicazione e dell’informazione.
La Carta prendeva dunque atto del nuovo ruolo del nostro mestiere rispetto a mutate condizioni sociali, culturali ed economiche.
Al tempo stesso tracciava una linea di consapevolezza del fare grafica contemporanea al proprio tempo.
Ne delineava la duplice possibilità dell’alta specializzazione da un lato e, dall’altro, del ‘governo dei procedimenti’ e dunque del ruolo di regista a cui veniva chiamato il progettista grafico.
Denunciava inoltre la formidabile carenza, rispetto alla comunicazione visiva, degli istituti di studio pubblici in Italia, in particolare nell’àmbito universitario, impegnandosi cosí nella proposizione dei percorsi formativi piú idonei.
Sottolineando il fenomeno dell’‘inquinamento visivo’, della pletoricità della comunicazione visiva e della complementare indifferenza verso la ‘cultura dell’immagine’, la Carta metteva in risalto la nuova responsabilità del progettista grafico e la necessità di qualità nel progetto.
Si impegnava infine a promuovere il riconoscimento della nostra identità lavorativa nella società in generale, in assonanza con quanto stava avvenendo in altri Paesi e con gli intenti di organizzazioni internazionali a cui aderiva, come il Beda, o alla cui fondazione aveva partecipato, come l’ICoGraDA.
La Carta è stata sottoscritta da molti, sia progettisti sia studiosi della cultura del progetto, ed ha suscitato un vivo dibattito, all’estero come in Italia.

[10] /// Le istanze etiche della Carta hanno dato luogo, nel 1993, alla stesura e all’adozione da parte dell’Aiap del Codice di etica deontologica.
Il Codice definisce comportamenti consapevoli e responsabili del progettista grafico nei confronti della società e dell’ambiente, ai quali il socio dell’Aiap è chiamato ad attenersi.


/// Nel 1994, infine, il dibattito lanciato dalla Carta del progetto grafico sfocia nell’adozione di un nuovo statuto che ridisegna la struttura dell’Aiap e porta alla formulazione dell’attuale denominazione di ‘Associazione Italiana Progettazione per la Comunicazione Visiva’.

[11] /// Proprio a partire da questi anni l’Aiap conosce un periodo di grande sviluppo su molti fronti che tuttora prosegue.
Già nel 1992 si era inaugurata a Milano, nella sede dell’Associazione, la Galleria Aiap, con una mostra dedicata ai manifesti di AG Fronzoni.

[12] Da allora fino ad oggi la Galleria ha ospitato trentacinque mostre, di cui vorrei ricordare qui soltanto alcune.
Nel 1995 si allestisce la mostra antologica dedicata a Franco Grignani, un altro nome storico della grafica italiana nonché esponente di spicco della Op Art.

[13] Nello stesso anno, in collaborazione col Mois du graphisme di Échirolles, viene prodotta la mostra sui manifesti di San Pietroburgo, ovvero la grafica russa nel vortice del cambiamento tra il 1985 ed il 1995.

[14] Due anni dopo sarà la volta della mostra Ho pagato la quota, un cinquantennio di grafica italiana attraverso le carte intestate dei soci dell’Aiap.

[15] Nel 1999 ecco la rassegna sull’esperienza di Germano Facetti come direttore artistico alla Penguin Books di Londra.

[16] Sempre dello stesso anno è la mostra dei lavori di settanta progettisti sui temi del segno, dell’alfabeto, della scrittura e del linguaggio.

[17] Le reliquie di sottospirito, del 2006, è una singolare mostra che raccoglie oggetti in qualche modo cari a progettisti grafici famosi o sconosciuti di tutto il mondo.
Queste sono alcune delle mostre allestite nella Galleria Aiap di Milano in sedici anni di attività.


/// Ma in questo stesso arco di tempo, al di fuori della propria Galleria, l’Aiap ha organizzato, o realizzato in collaborazione, piú di centocinquanta mostre in tutta Italia.
Fra le collaborazioni piú prestigiose all’estero va senz’altro citata quella pluriennale col Mois du graphisme di Échirolles a cui si è già accennato.


/// Un’altra collaborazione importante, questa volta in Italia, si è avviata quest’anno con lo Scaffale d’Arte del Palazzo delle Esposizioni di Roma.
In questo caso l’Aiap ha fornito la consulenza scientifica per la rassegna Singolare femminile.
Quattro donne – un’esperta di tipografia, due progettiste grafiche e una regista – si sono susseguite nella realizzazione di seminari di tre giorni e di mostre di lavori dei partecipanti e propri.


/// Sempre nella sede dell’associazione si è costituito un Centro di documentazione che vuole essere un punto di riferimento per studenti e studiosi della comunicazione visiva.

[18] Sono stati acquisiti numerosi volumi e documenti sulla cultura del progetto, alcuni dei quali di particolare pregio e rarità, come ad esempio il fondo che raccoglie opere di Ladislav Sutnar.


/// Tra le mostre organizzate dall’Aiap occupano un posto particolare quelle destinate all’esposizione su Internet.
Dall’adesione alle varie edizioni dello World graphic day organizzate dall’ICoGraDA alle mostre estemporanee su temi politici e sociali di immediata attualità, le mostre via Internet si sono rivelate un efficace strumento di partecipazione diffusa.

[19] Voglio ricordare fra tutte Nessuno uniforme, mostra in rete del marzo 2003 contro la guerra in Iraq, che ha visto la partecipazione di circa trecento grafici in due mesi.


/// La partecipazione si è espressa anche in importanti raccolte di firme e petizioni, come quella contro il cosiddetto ‘marchio turistico dell’Italia’, che ha avuto come risultato il ritiro di tale marchio.


/// Proprio nell’àmbito di una strategia di sviluppo della partecipazione diretta della comunità dei grafici si colloca l’apertura del sito “SocialDesignZine”, nell’aprile del 2003.
Sulla scorta dei pochi precedenti dell’epoca, tra cui il rigoroso “SocialDesignNotes” di John Emerson, lo weblog sostenuto dall’Aiap si è sviluppato come un vero e proprio quotidiano di informazione della comunità grafica.
E non è sbagliato parlare di una ‘comunità grafica diffusa’, poiché uno degli aspetti piú interessanti dell’esperienza di “SDZ” è l’essere il suo pubblico ben al di là del novero dei circa ottocento soci dell’Aiap.

[20] L’idea di progettualità sociale (o social design) si delinea dunque attraverso l’esperienza di “SDZ” non soltanto come ‘progettualità responsabile’ ma anche come indispensabile rete informativa.
I circa trentamila lettori mensili di “SDZ” hanno portato recentemente l’Aiap ad affiancare all’edizione italiana un’edizione inglese e a produrre finora due antologie degli articoli e dei commenti pubblicati.

[21] /// Un altro passo importante verso la partecipazione diretta, questa volta del corpo associativo, è stata l’istituzione della cosiddetta “Aiap Community” a partire dal 2002.
In occasione dell’assemblea nazionale i soci vengono invitati a partecipare inviando un progetto significativo; tra tutti i progetti ne vengono selezionati cinquanta.
L’aspetto piú interessante dell’iniziativa è l’enunciazione pubblica del progetto che l’autore dovrà sostenere nel corso di “Aiap Community”, mettendone a nudo i procedimenti e trasformando il segno grafico in oralità (e gestualità, poiché sempre italiani siamo…).
Dopo l’esordio all’assemblea di Riccione del 2002, “Aiap Community” è stata riproposta a Trani nel 2004, a Perugia nel 2006 e ad Aosta nel 2007.


/// Le stesse assemblee nazionali sono diventate sempre piú, nel corso degli anni, un’occasione multiforme.
Ai tradizionali momenti assembleari si sono via via affiancate mostre (come quella dedicata alla grafica iraniana, nel 2004 a Trani), convegni e seminari (come durante la piú recente assemblea ad Aosta).

[22] /// Tra le iniziative piú importanti sostenute dall’Aiap vi è la rivista “Progetto grafico”.
Nata nel 2003 come evoluzione del notiziario associativo, sin dal primo numero la rivista quadrimestrale ha assunto una foliazione e una varietà di argomenti affrontati considerevoli per numero.

[23] Parliamo di numeri lasciando evidentemente il giudizio sulla qualità ai lettori: è senz’altro la rivista di grafica piú voluminosa d’Italia, che nel prossimo numero festeggerà le duemila pagine complessive pubblicate.
Ma quel che piú conta è il fatto che, in cinque anni, la rivista abbia acquisito un numero di lettori che, come nel caso di “SDZ”, va al di là del numero dei soci dell’Aiap.
Credo anche che si sia andati oltre l’intenzione iniziale che la voleva una rivista fatta da grafici e destinata ai grafici.
Mi piace pensare che sia un periodico leggibile anche da chi grafico non è, e forse ciò è merito della volontà della rivista di esser fedele alla cultura del progetto piuttosto che al tecnicismo del lavoro.
“Progetto grafico” non è una rivista ‘di consumo’ legata al momento dell’attualità, sebbene dall’attualità essa possa ricavare temi generali ed aprirli all’approfondimento.

[24] Penso ad esempio ai grandi temi dei concorsi pubblici (e, piú in generale, al rapporto della grafica con la pubblica amministrazione), o ancora al tema della formazione.
È da dire, relativamente a questi due esempi, che l’Aiap e “Progetto grafico” hanno intrapreso un’azione molto decisa e articolata.
Ad esempio sul fronte dei concorsi pubblici, vigilando affinché si adeguino in pieno alle norme fissate da Icograda; o anche su quello della formazione, incontrando i responsabili governativi ed evidenziando loro il vuoto formativo in cui tuttora giace il nostro mestiere.

[25] È dunque – o almeno crediamo che sia – una rivista di approfondimento, con forse un’involontaria tendenza all’enciclopedismo.
Uno dei temi piú cari a “Progetto grafico”, perfettamente in sintonia con una delle istanze centrali dell’Aiap, è la tipografia.

[26] Numerosi sono gli articoli pubblicati sinora su questo argomento, e le prime mille pagine complessive della rivista sono state celebrate con un allegato: l’edizione italiana, realizzata per l’occasione, di un classico della tipografia, Il calice di cristallo di Beatrice Warde.

[27] /// Non è dunque un caso che “Progetto grafico”, insieme all’Aiap, promuova un’altra iniziativa a favore della diffusione della cultura tipografica: i Laboratori di carattere.
La prima edizione dei Laboratori si è svolta a Parma nel 2007, ospitata dal Museo bodoniano e dalla Biblioteca Palatina, in omaggio alla figura di Giambattista Bodoni.

[28] La seconda edizione è del 2008 ed ha avuto luogo a Roma nella Biblioteca Angelica, prima biblioteca al mondo ad esser aperta al pubblico quattro secoli or sono.
La formula dei Laboratori consiste nella scelta di una città italiana che sia luogo eminente della civiltà della scrittura; in una ‘passeggiata tipografica’ per la città sulle tracce ivi esistenti della forma della scrittura; nella visita del luogo che ospiterà i Laboratori, scelto con il medesimo criterio di rappresentatività.
Infine, in tre laboratori tipografici condotti da tre differenti personalità, per offrire tre diversi approcci al progetto dei caratteri tipografici.


/// L’attenzione dell’Aiap nei confronti della cultura tipografica e della forma della scrittura ha origini remote.

[29] Tra il 1985 e il 1992 l’Aiap è editrice della rivista “Grafica” che, fin dai primi numeri, affronta tali temi.

[30] A questa si aggiungerà la rivista “Calligrafia”, edita dall’Aiap dal 1991 al 1995.

[31] Da piú di un decennio l’Aiap sostiene la collana editoriale “Scritture”, nella quale vengono pubblicati testi inediti di autori italiani e traduzioni di fondamentali opere straniere.

[32] Nel 1997 si realizza la mostra omonima che, dopo il debutto a Roma, verrà ospitata da numerose città italiane.

[33] Nel 2002 fa cosí il suo esordio il progetto Italic, inserendosi in un contesto generale che vede in Italia il risveglio degli studi tipografici e della pratica del progetto dei caratteri.
Italic è un’ampia rassegna dedicata ai disegnatori italiani di caratteri che, in massima parte, animano la ‘rinascita tipografica’ a partire dagli anni Ottanta.
La prima edizione di Italic si è concretizzata in una pubblicazione e in una mostra, presentata a Roma in occasione della conferenza dell’ATypI del 2002 e poi itinerante in tutta Italia.
La seconda edizione, in fase di preparazione, è finalizzata alla creazione di un archivio permanente del disegno dei caratteri contemporaneo in Italia, con una schedatura il piú possibile accurata di autori e progetti.
Oltre all’archivio è prevista la realizzazione, anche in questo caso, di una mostra e di un ampio catalogo.


/// Ancora un’altra iniziativa a favore della diffusione della cultura tipografica è TypoTour, nato all’interno di “SocialDesignZine”.
Si tratta di un archivio in rete che documenta la diffusione delle forme della scrittura nel paesaggio italiano, nel loro esito epigrafico, tipografico o letteristico, cólto ovvero spontaneo.
Le immagini e i testi di commento sono raccolti per luoghi e sono collegati a Google Earth, creando una sorta di grand tour virtuale delle forme della scrittura.


/// Rimanendo nell’àmbito di Internet va citato l’impegno dell’Aiap per la creazione e la gestione di un sito di riferimento per i soci e i progettisti grafici in generale.
Il sito presenta un’area ‘istituzionale’, dedicata a informazioni sull’Aiap e sulle sue attività passate, in corso e future, all’elenco dei soci e ad una galleria di loro lavori, alla libreria in rete che permette l’acquisto di libri, a notizie sulla formazione e sulle opportunità di lavoro.
L’altra area è riservata alle notizie, con una ‘prima pagina’, gli approfondimenti e l’archivio. Poi vi sono i collegamenti ai siti delle attività piú importanti promosse e sostenute dall’Aiap: “SDZ”, “Progetto grafico”, Italic e Multiverso.

[34] /// Multiverso è il titolo della serie di conferenze internazionali, mostre e laboratori organizzati dall’Aiap per l’ICoGraDA Design Week che si svolgerà a Torino dal 13 al 19 ottobre prossimi. La scelta della città di Torino rientra nel suo essere ‘capitale mondiale del design’ per il 2008. L’iniziativa comprende una conferenza internazionale di tre giorni, mostre, tavole rotonde e numerosi laboratori per studenti. Tra i relatori si annoverano importanti autorità internazionali nei diversi settori della comunicazione visiva. Accanto ad essi avremo il contributo di autori e studiosi che – muovendosi in campi adiacenti e affini – potranno fornire spunti riguardo alle possibili direzioni di sviluppo del progetto di comunicazione visiva.


/// Ho cercato di delineare in breve un profilo storico e attuale della nostra associazione. Non mi resta dunque che affrontare il tema del denaro, della cultura grafica e del mestiere che, in Italia, ‘non esiste’.
L’impresa non sarebbe da poco se molti argomenti fondamentali non fossero già ‘passati’ nella narrazione storica.

[35] Per farlo userò di nuovo un pre-testo: la pubblicazione dell’Aiap che affronta il problema del valore del nostro mestiere e della regolamentazione formale dei rapporti di lavoro.
Ancora una volta la storia dei termini usati può essere utile per comprendere l’evolversi delle cose e il loro stato attuale.
Uscita per la prima volta nel 1962, la pubblicazione di cui parliamo ha avuto per molte edizioni il nome di ‘tariffario’.
Pur adeguandosi all’aumentare dei prezzi delle prestazioni e al differente precisarsi di quest’ultime, è restata tuttavia a lungo ancorata all’idea, appunto, del ‘tariffario’.
Idea inadeguata in partenza, perché mai è esistito in Italia un albo professionale dei grafici e, dunque, illegittima è stata e sarebbe ora la pretesa di un ‘tariffario’.

[36] Nel 2000 avviene infine il cambiamento nel nome e nella struttura della pubblicazione, che diviene Guida agli onorari.
Da essa cito alcuni passaggi che ritengo importanti:
«[…] il cambiamento del titolo implica una riflessione e una constatazione sulle trasformazioni del mestiere di grafico: una volta artista, poi creativo e progettista, infine anche regista del lavoro e consulente delle imprese».
Negli anni Novanta «[…] la semplificazione delle procedure e degli strumenti del progetto […], introdotta da elaboratori sempre piú potenti e programmi sempre piú ‘abili’, non ha, come si temeva, reso superflua la figura del grafico ma la ha sublimata, dematerializzata, evidenziando la reale qualità del progetto ovvero la capacità di strutturare, gestire e formulare i processi comunicativi».
Si prendeva dunque atto, nell’edizione del 2000, di una nuova complessità della figura del progettista grafico e della impossibilità di esaurire tale complessità in una schematica definizione della prestazione e nella relativa tariffa – oltre alla inadeguatezza giuridica di un ‘tariffario’, come s’è detto.
Per la prima volta si proponeva un ‘sistema dell’Aiap’ per la determinazione degli onorari, prendendo in considerazione elementi come il tempo, le forze messe in campo, gli investimenti, le spese e cosí via.
Si superava in tal modo anche la difficoltà tipica di ogni tariffario, ovvero le forti differenze economiche tra le ‘mille città’ d’Italia.
Soprattutto si affermava il valore del progetto di comunicazione visiva contemporaneo, considerando elementi come lo studio di fattibilità o la pianificazione delle risorse che tradizionalmente risultavano di difficile valutazione o addirittura invisibili alla committenza.

[37] Nelle edizioni successive si è continuato a seguire questa nuova linea, fino ad arrivare all’edizione piú recente, quella del 2007, che risulta essere sempre piú ‘guida’ e sempre meno ‘tariffario’.
Citando dalla sua Introduzione, «[questa Guida] non vuole essere consultata come un listino ma come un quadro di riferimento chiaro e certo per le prestazioni del progettista. Non sono importanti le cifre ma le voci e il metodo con cui si può determinare un corretto compenso.»
Voci e metodo, dunque. Del metodo si è già detto, ed è un fattore di consapevolezza. Ma le voci anch’esse sono un contributo alla consapevolezza del nostro mestiere, delineandone le numerose articolazioni.


/// La Guida agli onorari non è rivolta soltanto ai progettisti ma a tutto il mondo della committenza, pubblica e privata.
C’è infatti da rilevare in Italia un ritardo storico nel riconoscimento sociale della stessa identità del progettista grafico.
Ne sono prova le carenze del sistema formativo, di cui abbiamo parlato, ma ancora, e ad un livello che inficia l’agire quotidiano, l’assenza di un semplice riconoscimento fiscale e previdenziale.
Ma anche se molto resta ancora da conquistare, di strada se n’è fatta e se ne continua a fare, e comincia a diffondersi una nuova consapevolezza.
La politica dell’Aiap non è quella di reclamare la costituzione di un albo professionale dei grafici, di cui non si sente il bisogno in un momento in cui, anzi, si cerca di limitare gli eccessivi privilegi degli ordini professionali già esistenti.
La politica dell’Aiap, come ho cercato di dimostrare in questo intervento, è indirizzata da anni all’affermazione sociale dell’identità del nostro mestiere.
Tale affermazione può avvenire in primo luogo attraverso la diffusione della cultura del progetto che valorizzi la singolarità dei nostri linguaggi e delle nostre storie.
In secondo luogo, attraverso il delinearsi di un sistema formativo adeguato che razionalizzi l’accesso alla pratica del nostro mestiere.
In terzo luogo, attraverso un’azione incisiva di informazione nei confronti di tutta la committenza, sia pubblica sia privata, nelle loro evidenti diversità.
Infine, facendosi portatori di un alto profilo di consapevolezza etica e sociale, non rinunciando mai ad un atteggiamento di critica verso oggetti, committenti e modalità del nostro lavoro.
Credo che oggi il progettista grafico rivesta un ruolo ‘pubblico’ qualunque sia l’oggetto e la destinazione del proprio lavoro.
Ciò a causa della pervasività della comunicazione visiva e del suo potere di generare tipi antropologici e comportamenti sociali, superando in modo inatteso la distinzione tra ‘privato’ e ‘pubblico’ con la privatizzazione della sfera pubblica e l’esibizione pubblica di ciò che è privato.
Dopo un ventennio dalla stesura della Carta del progetto grafico ritengo indispensabile una sua nuova formulazione, poiché quel che allora s’intuiva o era agli esordi ha assunto oggi dimensioni imponenti ed esiti talvolta imprevisti.
Solo per indicare alcuni fenomeni, penso al dominio della prassi tecnologica sulla riflessione teoretica, persino epistemiologica.
Penso al mutare di concetti di cui spesso si dà per scontato il significato.
Due fra tutti: il concetto di “informazione”, evidentemente prossimo a quello di “formazione” sia delle opinioni sia dei fatti; quello attiguo di “comunicazione”, in tutte le sue applicazioni, divenuto negazione di “conoscenza” e surrogato di “presenza”.
Tutto ciò ci riguarda come cittadini e come progettisti, ben al di là delle nostre nazionalità, io credo.

[38] Il confronto e la collaborazione con associazioni straniere di assoluto rilievo come i Rencontres de Lure sono obiettivi primari per noi.
Come affermavo all’inizio, la diversità crea valore, se è aperta all’ospitalità, all’incontro, alla collaborazione.


Grazie.


Testo e foto di Fabrizio M. Rossi.
Lurs, agosto 2008.


Immagini (a cura di Fabrizio M. Rossi)
01. Odissea, libro XIV, 56-58
02. Danza dei Feaci per Ulisse, Compagnia Teatrale Down
03. Il marchio-logotipo dell’AIAP
04. Un manifesto per Nessuno uniforme
05. Albe Steiner: Il mestiere di grafico. Einaudi, 1978
06. Manifesti per la 14a Triennale di Milano, 1968
07. Le diverse sigle e denominazioni dell’AIAP nel tempo
08. La classificazione dei caratteri proposta da Novarese
09. La Carta del progetto grafico
10. Il Codice di etica deontologica
11. AG Fronzoni: trent’anni di manifesti. 1992
12. Grignani: progetti di grafica e comunicazione visiva. 1995
13. Il manifesto di San Pietroburgo. 1995
14. Ho pagato la quota. 1997
15. Germano Facetti e i libri del Pinguino. 1999
16. Segno, alfabeto, scritture, linguaggi. 1999
17. Le reliquie di sottospirito. 2006
18. Articolo dedicato a Sutnar in “Progetto Grafico”
19. Nessuno uniforme. 2003
20. Il primo dei volumi antologici di “SDZ”
21. Aiap Community 0.1. 2002
22. Copertine di “Progetto grafico”
23. “Pg”: i Samizdat
24. “Pg”: la grafica di pubblica utilità
25. “Pg”: Glas, Jacques Derrida
26. Beatrice Warde: Il calice di cristallo
27. La locandina della 1a edizione dei Laboratori di carattere
28. La Biblioteca Angelica di Roma, 2008
29. La rivista “Grafica”
30. La rivista “Calligrafia”
31. La collana “Scritture”
32. La mostra Scritture
33. Il catalogo di Italic 1.0
34. Il logotipo e l’indirizzo internet di Multiverso
35. Edizioni del Tariffario Aiap
36. La Guida agli onorari del 2000 e del 2003
37. La Guida agli onorari del 2007
38. “Pg”: reportage sui Rencontres de Lure 2005

La comunicazione (grafica e non solo) delle istituzioni sulla salute

giovedì, marzo 4th, 2010

Intervista a Fabrizio M. Rossi*

pubblicata su “Colloquia” 04/09, mensile edito da Il pensiero scientifico, Roma

Quanto è importante, e perché, una comunicazione efficace sulla salute?
La comunicazione delle istituzioni sulla salute rientra a pieno titolo in quella che è stata definita “comunicazione di pubblica utilità”. Ricevere informazioni esatte, complete e percorribili su ogni attività e servizio delle istituzioni o su importanti temi di interesse pubblico è un diritto fondamentale di ogni cittadino, sancito dalla legge; se riusciamo ad intendere lo Stato e le sue istituzioni come espressione partecipata di una comunità d’individui abbiamo il diritto di pretendere una comunicazione che non sia mera notifica né tantomeno propaganda. È evidente che, in un àmbito così delicato come la salute, tutto ciò sia imprescindibile e cruciale.
Per ragioni storiche tanto complesse quanto precise l’Italia non può certo ritenersi all’avanguardia mondiale nella comunicazione istituzionale. Il rapporto tra cittadino italiano e amministrazione pubblica è a dir poco controverso e il più delle volte improntato a reciproca diffidenza: è inevitabile che la comunicazione istituzionale rifletta tutto questo. Sebbene non si sia ancora giunti ad un livello accettabile, è tuttavia innegabile che su questo tema qualche passo avanti, dal secondo dopoguerra ad oggi, sia stato compiuto. Penso a quelle azioni legislative riformatrici che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, hanno via via obbligato le istituzioni, prima locali e poi centrali, ad assumere un atteggiamento di dialogo nei confronti del cittadino e, conseguentemente, a comunicare di più e meglio. Non è molto, se paragonato con altre realtà europee, ma è pur qualcosa per un Paese come il nostro abituato, in un passato non troppo remoto e con persistenze non ancora sopìte, all’arroganza e all’inefficienza delle istituzioni, perfettamente riflessa dalla loro comunicazione: esoterica, occasionale o inesistente.
Qualcosa a un certo punto successe, come dicevo, e coincise con l’inizio della comunicazione di pubblica utilità, come proprio allora fu definita. Venendo all’àmbito che professionalmente mi riguarda, furono gli anni in cui i progettisti grafici italiani – in linea con analoghi movimenti europei – diedero inizio ad una riflessione sul proprio ruolo e sulla propria responsabilità in una società ormai profondamente cambiata: si cominciava a ragionare sulla ‘grafica utile’, ossia la grafica ‘altra’ rispetto alla comunicazione persuasiva, la grafica al servizio dei cittadini, attenta alle relazioni tra individuo e istituzioni, tra comunità e territorio, tra gli individui stessi. Furono gli anni in cui i progettisti grafici ebbero modo d’intervenire come protagonisti nella comunicazione dando forma visiva all’informazione istituzionale rivolta ai cittadini.
Volendo assumere alcuni avvenimenti come rappresentativi di questo movimento di pensiero e progettuale in Italia indicherei l’inizio delle esercitazioni di progettazione svolte da Albe Steiner all’Isia (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche) di Urbino, alla fine degli anni Sessanta; la “Biennale della grafica di pubblica utilità”, tenutasi a Cattolica nel 1984; la redazione della Carta del progetto grafico da parte dell’Aiap (associazione dei progettisti grafici italiani) e di altre realtà professionali e universitarie, nel 1989, e del Codice di etica deontologica e condotta professionale, elaborato sempre dall’Aiap, nel 1993. L’attività professionale e didattica di Steiner contribuì a diffondere in Italia un modello di progettazione grafica attento alle esigenze sociali; la mostra di Cattolica fu un’importante occasione di confronto dei risultati ottenuti fino a quel momento dalla ‘grafica utile’; i due documenti citati, infine, presero coscienza del nuovo ruolo strategico del progettista grafico nel sistema della comunicazione, dichiarandosi apertamente a sostegno di una maggiore consapevolezza e responsabilità della progettazione grafica nei confronti dell’impatto sociale, culturale e ambientale.

Qualche esempio di comunicazione riuscita o mancata?
Tra gli esempi più interessanti di comunicazione di pubblica utilità italiana in quegli anni citerei il caso della città di Pesaro [figg. 1-6], esemplare per la continuità nel tempo e per l’estensione della progettazione grafica ad un ampio arco di attività istituzionali, dalla salute alla cultura, dallo sport alle scienze naturali. Un caso, questo, che si avvicina all’idea radicata in altre democrazie dell’Europa continentale, in generale attente più alla comunicazione finalizzata alla qualità della vita quotidiana che alle sue forme spettacolari e occasionali.

A contraltare dell’esempio di Pesaro sarebbe impietoso elencare la quantità impressionante di casi italiani di comunicazione di pubblica utilità mancata, malfatta o travisata nel tempo; preferisco istituire un rapido confronto tra uno dei migliori risultati italiani e l’analoga realtà europea di quegli anni. Il caso olandese è emblematico; nel secondo dopoguerra prende avvio in Olanda un’intensa attività di progettazione grafica al servizio delle istituzioni. Gli esempi sono numerosissimi ma fra tutti citerò il sistema di identità visiva del Ministero del benessere, della salute e della cultura [fig. 7] e quello delle Poste [figg. 8-12]; queste ultime si diedero un’identità visiva istituzionale coerente (carattere tipografico, grafica per i francobolli, per i formulari e per la pubblicità, progetto dell’arredo degli uffici, delle cassette postali e degli edifici) a partire dal lontano 1920, quando il loro segretario generale, Jean-François Van Royen, iniziò a lavorare in questa direzione rivolgendosi alle correnti più rappresentative delle arti visive di allora.

Vorrei proseguire con tre campagne di comunicazione inglesi ed una francese sull’Aids risalenti alla fine degli anni Ottanta, dall’impostazione progettuale molto diversa. Le prime due [figg. 13-14] si basano sull’effetto provocato dalla crudezza delle immagini, sebbene la seconda sia accompagnata da un testo esplicativo; la terza [figg. 15-16], invece, rinuncia all’uso di fotografie e fornisce un’informazione più specifica. La campagna di prevenzione sviluppata in Francia [fig. 17] ha un tono della comunicazione molto diverso: vuole evidentemente evitare di suscitare panico, suggerendo invece l’idea di una malattia evitabile se affrontata con responsabilità.

Concludo questo breve panorama con una campagna di educazione sull’igiene orale, sviluppata in seguito ad un’indagine epidemiologica che indicava la carie come un autentico flagello nei bambini di un dipartimento francese. La campagna di comunicazione venne realizzata per adattarsi ai programmi d’insegnamento delle scuole elementari, con particolare attenzione all’età dei bambini e tenendo conto delle loro diversità etniche e culturali [figg. 18-19]; materiali specifici furono approntati per gli insegnanti delle scuole sia come documentazione personale sia per svolgere attività condivise con i piccoli studenti [figg. 20-21]. Un caso, questo, di comunicazione sulla salute che si fa progetto educativo a lungo termine.

Le campagne di comunicazione istituzionali sulla salute (in Italia, dagli antibiotici alla pandemia) servono? Quale il rapporto costo-efficacia?
Non posso pronunciarmi sul rapporto fra costi e benefici delle campagne istituzionali sulla salute in Italia; credo che ogni caso andrebbe esaminato singolarmente e con molta attenzione. Quanto alla recente comunicazione sulla pandemia d’influenza ho l’impressione, come cittadino e come progettista della comunicazione visiva, che si sia trattato di un colossale pasticcio non privo di aspetti oscuri: una brutta storia, insomma. Posso aggiungere che dal periodo di cui ho parlato prima ad oggi molte cose sono cambiate. La comunicazione, visiva e non, si è fatta sempre più pervadente, sia in termini di quantità sia come ‘soglia d’impatto’: un’immagine cruda come quella della prima campagna inglese sull’Aids che ho citato non avrebbe oggi più alcuna efficacia, se mai l’ebbe allora, perché siamo saturi di immagini violente ed è sempre più difficile farsi strada nel rumore di fondo incessante della comunicazione. Insistere su questo tasto significa aderire ad un’idea di comunicazione spettacolare ed occasionale, come dicevo; al di là della violenza, che spesso mette soltanto in mostra il creativo di turno, credo che sia da rifiutare proprio la spettacolarità e l’occasionalità e lavorare sulla qualità della vita quotidiana, di cui sentiamo sempre più il bisogno. In sintesi, credo che l’unica comunicazione socialmente utile sia, al fondo, informazione per gli adulti ed educazione per i più piccoli; c’è altro per divertirsi, per provare brividi, per costruire un immaginario. Soprattutto credo che sia sempre più da ribadire la distanza irrinunciabile fra informazione e propaganda.

Con quali strumenti ed obiettivi le arti grafiche possono mettersi al servizio della comunicazione sulla salute?
Un progettista grafico dà forma visibile alle idee – ai contenuti – usando come strumenti testi e immagini, ma non solo: il nostro mestiere è anche strutturare i contenuti articolandoli, organizzandoli e, infine, dando loro la forma visibile adeguata. Gli strumenti? Non siamo (soltanto) ‘quelli della pubblicità’, anzi: progettiamo libri, riviste, siti web, cd-rom, sistemi di segnaletica… Potremmo definirci metaforicamente come traduttori o come ambasciatori; l’importante è che i traduttori non siano traditori e che gli ambasciatori si rendano conto che possono recar pena. Penso che il nostro mestiere abbia un certo impatto sociale, ammesso che vi siano mestieri che non ne abbiano; senza sopravvalutarci, mi sento di dire che possiamo fare qualche danno e, nel caso della comunicazione sulla salute, gli esiti possono essere immediatamente tangibili. Possiamo però fare anche qualcosa di utile mettendo le nostre capacità al servizio di buoni contenuti. Il tempo della ‘grafica utile’ è tutt’altro che finito e in Italia non sono pochi gli esempi in questo senso; uno fra tutti, il progetto promosso a partire dal 2003 dal Comune di Venezia [fig. 22] che si concentra proprio sulla leggibilità della comunicazione pubblica; c’è da ricordare inoltre l’impegno incessante dell’Aiap a favore della ‘grafica utile’, come nel caso del recente terremoto in Abruzzo [http://www.aiap.it/documenti/11104/145].

Oggi è necessario comprendere che ogni azione di comunicazione (visiva, nel nostro caso) può essere utile o dannosa e che non basta realizzare una ‘pubblicità progresso’ ogni tanto per mettersi la coscienza a posto: meglio dedicarsi a progetti duraturi ed utili, con grande cura. Ne va della salute di tutti.

Fabrizio M. Rossi è progettista grafico, fotografo e studioso della storia della grafica. Ha iniziato la sua attività professionale nel 1985 come consulente della Fondazione A. Olivetti. Nel 1987 ha fondato lo studio grafico Ikona che tuttora dirige. Nel 2002 ha ultimato, su incarico del Consorzio Baicr (Biblioteche e Archivi degli Istituti Culturali di Roma) il progetto multimodale Novecento italiano. Documenti per la storia delle idee e della società. Suoi lavori sono stati selezionati ed esposti in varie rassegne internazionali, fra cui tre Biennali della grafica di Brno. È redattore della rivista “Progetto grafico”; tra le sue pubblicazioni in volume, Caratteri e comunicazione visiva, Giochi di carattere, le voci “Comunicazione visiva”, “Design industriale” e “Manifesto” nell’enciclopedia Le muse. Si occupa dal 1990 di formazione per la comunicazione visiva, insegnando in diverse scuole. Ha partecipato alla formulazione e allo svolgimento del Corso sperimentale di grafica editoriale nelle carceri (1995-1999). Dal 2006 al 2009 è stato consigliere nazionale dell’Aiap (Associazione italiana progettazione per la comunicazione visiva) e ne cura i progetti a favore dell’Abruzzo.

1 Campagna sui consultori familiari (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1978.
2 Campagna di prevenzione del diabete (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1977.
3 Incontri sulla radioattività (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1987.
4 Rossini opera festival (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1981.
5 Festa dello sport (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1979.
6 Serata di scienze naturali (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1983.
7 Campagna sull’introduzione dell’identità visiva del Ministero del benessere, della salute e della cultura olandese (manifesto). Design: W. Nikkels e SDU, s.d.
8 Pagina interna del Nederlandse Postzegels 1981 (annuario dei francobolli olandesi) con bozzetto (di S. Stolk) di francobollo per l’anno internazionale dei disabili, PTT. Design: A. Beeke e DEV, 1984.
9 Doppia pagina interna del Nederlandse Postzegels 1984 con bozzetto (di K. Martens) di francobolli sul Parlamento europeo, PTT. Design: J. Stoopman e DEV, 1986.
10 Applicazione del logo delle PTT su un edificio. Design: P. Mijksenaar e DEV, 1984.
11 Manuale operativo dell’identità delle PTT. Design: P. Mijksenaar e DEV, 1979.
12 Copertina dell’annuario dei francobolli, PTT. Design: J. Stoopman (Studio Dumbar) e DEV, 1986.
13 Campagna sull’Aids, Central Office of Information, Departement of Health and Social Security, UK. Design: TBWA, 1986.
14 Campagna stampa sull’Aids, Central Office of Information, Departement of Health and Social Security, UK. Design: TBWA, 1987.
15 Locandina informativa sull’Aids, Central Office of Information, Departement of Health and Social Security, UK. Design: TBWA, 1987.
16 Locandina informativa sull’Aids, Central Office of Information, Departement of Health and Social Security, UK. Design: TBWA, 1987.
17 Campagna sull’Aids, Ministero della salute e della famiglia, Comitato francese d’educazione sulla salute. Design: Créhalet-Foliot-Poussielgues, 1987.
18 Tavola di calendario per le scuole materne; campagna di educazione sull’igiene orale, Francia, Consiglio generale dip. Seine – Saint-Denis. S.a., 1985-1986.
19 Manifesto-metro da utilizzare in casa; campagna di educazione sull’igiene orale, Francia, Consiglio generale dip. Seine – Saint-Denis. S.a., 1986-1987.
20 Copertina e scheda di un calendario da costruire insieme con l’insegnante della scuola materna; campagna di educazione sull’igiene orale, Francia, Consiglio generale dip. Seine – Saint-Denis. S.a., 1987-1988.
21 Tavola di calendario per le scuole materne, campagna di educazione sull’igiene orale, Francia, Consiglio generale dip. Seine – Saint-Denis. S.a., 1986-1987.
[1-21: immagini tratte da Images d’utilité publique, Éditions du Centre Georges Pompidou. Parigi, 1988]
22 “Questione di leggibilità”, pubblicazione nell’àmbito del “Progetto leggibilità, Comune di Venezia. Design: Studio Tapiro, 2005.

Intervista a Fabrizio M. Rossi su “Colloquia”

sabato, febbraio 13th, 2010

La rivista scientifica “Colloquia” (edita da Il pensiero scientifico) pubblica, nel suo numero in uscita in questi giorni, una intervista di Manuela Baroncini a Fabrizio M. Rossi dal titolo La comunicazione (grafica e non solo) delle istituzioni sulla salute. Nell’intervista viene affrontato il tema della ‘grafica utile’: la sua storia in Italia e all’estero, la sua attualità, l’impegno dell’AIAP in questa direzione.

Nei prossimi giorni l’intervista sarà pubblicata sul sito dell’AIAP.

Sul tema della comunicazione della salute segnaliamo l’articolo di Gilberto Corbellini, “Il medico e l’impaziente”, pubblicato a pagina 30 de “Il Sole 24 Ore” del 14 febbraio 2010, che recensisce il volume La comunicazione della salute. Un manuale, a cura della Fondazione Zoé, edito da Cortina, Milano, pp. 480, € 29,00.