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Tra le parole, i caratteri e le cose

domenica, febbraio 14th, 2010

Se esiste un brano letterario che abbia fornito spunti di riflessione e dibattito ai filosofi contemporanei è quello citato da Maurizio Ferraris in Borges tra le parole e le cose (“Il Sole 24 Ore” del 14/2/2010), tratto da L’idioma analitico di John Wilkins (1951), di Jorge Luís Borges. In esso si parla dell’“Emporio celeste di conoscimenti benevoli”, ovvero della “Enciclopedia Cinese”.

«Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in (a) appartenenti all’Imperatore, (b) imbalsamati, (c) ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa classificazione, (i) che s’agitano come pazzi, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l) eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche.»

Come giustamente fa notare Ferraris, lo scrittore argentino addensa in questo brano «almeno tre vertigini»: una logica, una ontologica e una epistemologica. La prima: un catalogo che incorpora se stesso (“inclusi in questa classificazione”). La seconda: il“sublime matematico” kantiano che viene configurato da una tassonomia irraggiungibile (“innumerevoli” ed “eccetera”). La terza: l’accozzaglia di categorie disparate (“gli appartenenti all’Imperatore”, i “lattonzoli”, i “favolosi”…) che richiama alla memoria, secondo Ferraris, la critica di Kant alle categorie di Aristotele, accusate di procedere “rapsodicamente”, cioè a caso. Ferraris prosegue ricordando l’attenzione tributata da Michel Foucault, nel suo saggio Le Parole e le cose, alla “Enciclopedia Cinese” di Borges: il carattere paradossale del ‘catalogo’ di Borges ci interroga efficacemente sui nostri criteri di classificazione.

Le classificazioni dei caratteri tipografici meriterebbero urgentemente una riflessione approfondita; sebbene costituiscano tuttora un valido sostegno didattico e un discreto strumento di lavoro, esse sono sempre piú messe alle corde dalle mutate condizioni di produzione e di fruizione dei caratteri tipografici nell’epoca digitale. Le ‘chimere’ tipografiche (digitali e non) sfuggono alla tassonomia e ci impongono approcci diversi.

Fabrizio M. Rossi