Lettera a Sandra, amica aquilana

Cara amica,
è passato un anno dalla fine del mondo così come lo conoscevamo. Nulla è più uguale a prima né lo sarà mai più, ma resistiamo: il mondo esiste perché ci siamo noi a descriverlo e noi siamo qui, ben vivi, e questo importa; nonostante il nostro dolore, nonostante l’indifferenza altrui, nonostante le menzogne e le speculazioni di gente senza onore né vergogna, noi siamo qui.
Per un paradosso atroce è stata la catastrofe a risvegliare tutti i ricordi, ad uno ad uno, del tempo trascorso in un luogo che non esiste più. Per un anno abbiamo vissuto una morte senza fine, estesa nello spazio a piazze, a vie, a prospettive azzerate: luoghi d’incontri vivi con gente viva. L’Aquila della memoria è una città morta: centotrentacinque ettari di macerie e silenzio.
La ‘gente’ è stata bombardata d’immagini, di chiacchiere, di appelli umanitari, e già da tempo non ne vuol più sapere del terremoto a L’Aquila. In più, ogni tanto qualcuno mi dice: “Tutto a posto a L’Aquila, vero?”. Certo, tutto a posto; anzi, ce ne vorrebbe un altro, di terremoto. Ma venite a vedere tutto quel che si poteva salvare ed è stato lasciato a marcire e a gonfiarsi d’acqua e di gelo, venite a vedere le rovine che non sono state toccate, venite a vedere la ricostruzione negata e la costruzione insensata delle nuove borgate, e lo sradicamento di un’intera città!
Ora è tempo di smettere il lutto. Descriveremo un altro mondo, peggiore o migliore, combatteremo civilmente fino alla fine; ci aiuteremo gli uni con gli altri, così come abbiamo fatto un anno fa, quando ci siamo abbracciati senza parole, accampati così come potevamo. Soprattutto, non chiederemo elemosina ma quel che ci spetta come cittadini.
Amica mia, credo che ci tocchi agire in silenzio, senza piatire niente a nessuno ma con grande determinazione. Credo ancora nella forza dei progetti e nel valore della memoria, nonostante tutto. Credo che la città ferita si stia risvegliando.

Ti auguro di trascorrere quest’anniversario confidando nella nostra solidarietà.

Fabrizio M. Rossi

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